Il famoso critico d’arte Clement Greenberg fu una delle voci più influenti e rispettate del XX secolo. Conosciuto oggi come la “voce dell’arte americana”, la sua audace e schietta celebrazione dell’arte astratta americana negli anni ’40 e ’50 trasformò artisti come Jackson Pollock, Willem de Kooning e Barnett Newman in nomi familiari. Credendo che l’arte dovrebbe essere distillata nelle sue proprietà più pure, semplici e poetiche di linea, colore e superficie piana, le idee di Greenberg influenzarono un’intera generazione, portandoli a creare alcune delle opere d’arte più iconiche di tutti i tempi. “Il modernismo”, scrisse, “usava l’arte per richiamare l’attenzione sull’arte.”
Le prime idee di Clemente Greenberg
Nato nel Bronx da immigrati ebrei-lituani, Clement Greenberg studiò letteratura inglese alla Syracuse University. Dopo la laurea andò alla deriva tra un lavoro e l’altro prima di trovare la sua strada nel gruppo di scrittori e critici che si definivano gli intellettuali di New York, tra cui Susan Sontag e Harold Rosenberg. Molti erano ebrei e sostenevano una politica di sinistra, integrando la teoria letteraria con le credenze marxiste, ma rifiutavano Stalin, propendendo invece per le idee liberali del trotskismo.
Molte delle idee di Greenberg provenivano inizialmente da Karl Marx, in particolare la convinzione che l’arte astratta d’avanguardia fosse una mossa audace e rivoluzionaria per allontanarsi dai regimi politici oppressivi guidati da nazisti o comunisti. Un’altra grande influenza sulle idee di Greenberg fu l’artista ed educatore tedesco Hans Hofmann. Nel 1938 e 1939 Greenberg andò a diverse conferenze di Hoffmann che sottolineavano l’importanza di una comprensione “formale” nell’arte, dove il colore, la linea, la superficie e la relazione tra i piani su una superficie piana erano considerati più importanti del contenuto figurativo o letterario.
Celebrare l’Avanguardia
Molti dei primi scritti critici di Clement Greenberg apparvero sulla liberale Partisan Review di New York e furono pesantemente influenzati dalle idee di Hans Hoffmann. Fu nella Partisan Review che Greenberg pubblicò il primo dei suoi saggi più influenti, intitolato Avant-Garde and Kitsch, 1939, che costituì la base per molte delle sue idee future.
Nel saggio, Greenberg sostiene che l’arte d’avanguardia dell’inizio del XX secolo era “l’unica cultura vivente” ancora esistente, mentre l’emergere del “kitsch”, materiale popolare o prodotto in serie era una grande minaccia alla sua esistenza. Sostenendo che l’immaginario “kitsch” era un sottoprodotto della società industrializzata pacchiana e a buon mercato, egli affermava con forza che sia l’arte che la letteratura dovevano offrire un percorso verso una verità più alta oltre questo linguaggio “svilito”. Questa convinzione dell’importanza sociale di un’arte d’avanguardia “alta”, incentrata sul processo e sulla sperimentazione, fu la chiave di tutte le idee di Greenberg sull’arte, e informò i suoi futuri saggi sulla teoria e la pratica dell’arte.
Un nuovo Laocoonte
Solo un anno dopo, Clement Greenberg pubblicò il secondo dei suoi saggi strumentalmente importanti: Towards a Newer Laocoon, 1940. Il testo era una continuazione del famoso articolo di Gotthold Lessing, Laocoon: An Essay Upon the Limits of Painting and Poetry, pubblicato nel 1766. Lessing aveva iniziato a fare distinzioni tra i diversi mezzi artistici, tra cui la poesia, la pittura e la scultura, sostenendo come ognuno avesse il proprio distinto linguaggio di sviluppo che dovremmo riconoscere e apprezzare.
Basandosi sul saggio di Lessing, le idee di Greenberg delinearono una logica storica che descriveva da dove erano venute le origini della pittura moderna e dove era ora diretta. Egli sosteneva che la pittura era stata sempre più appiattita fin dai tempi storici, andando oltre il contenuto narrativo o letterario verso un’enfasi sul modello astratto e sulla superficie, scrivendo: “Ma la cosa più importante di tutte, il piano dell’immagine diventa sempre meno profondo, appiattendosi e premendo insieme i piani fittizi di profondità fino a quando si incontrano come uno sul piano reale e materiale che è la superficie reale della tela.”
Espressionismo astratto
Negli anni ’40 Clement Greenberg si stabilì nella zona del Greenwich Village a New York dove lavorò come redattore per la Partisan Review, redattore associato per Commentary Magazine e critico per The Nation. Fu uno dei primi a individuare e sostenere il lavoro della nascente scuola espressionista astratta tra cui Jackson Pollock, Willem de Kooning, Robert Motherwell e David Smith e attraverso i suoi scritti le carriere di questi artisti furono lanciate sotto i riflettori internazionali. Con la crescita delle loro carriere, crebbe anche quella di Greenberg, che divenne un gigante della scena artistica americana, assumendo incarichi di docenza al Black Mountain College, alla Yale University, al Bennington College e alla Princeton University, dove ebbe una forte influenza sulla successiva generazione di pensatori creativi.
La crisi del quadro da cavalletto
Diversi saggi pubblicati negli anni Quaranta permisero a Greenberg di ampliare la sua argomentazione sull’importanza della pittura astratta, tra cui Abstract Art, pubblicato nel 1944, e The Crisis of the Easel Picture, 1948. In quest’ultimo testo, introdusse il concetto radicale e influente del quadro “all-over”, descrivendo una tendenza appiattita e ripetitiva nell’arte americana praticata da Jackson Pollock, Lee Krasner e Barnett Newman come una “pittura decentralizzata, polifonica, all-over”, che si fondeva in “pura consistenza, pura sensazione”. Sosteneva anche che la pittura “all-over” era nata come una reazione logica a una società industrializzata e capitalista, in cui “tutte le distinzioni gerarchiche sono state esaurite … nessuna area o ordine di esperienza è intrinsecamente o relativamente superiore a qualsiasi altra.”
Greenberg vs. Rosenberg
Uno dei più grandi rivali di Clement Greenberg era il suo collega critico d’arte Harold Rosenberg; si dice che a volte siano quasi finiti in manette durante i loro accesi dibattiti. Anche se c’erano molte sovrapposizioni tra le loro idee, Rosenberg elogiava quello che chiamava “Action Painting”, un filone di astrazione basato su gesti energici e performativi praticati da Jackson Pollock, Franz Kline e Arshile Gorky. Rosenberg sostenne anche vari artisti espressionisti astratti che avevano riportato elementi figurativi o narrativi nella loro pittura libera ed espressiva, come Willem de Kooning e Philip Guston.
Al contrario, Greenberg spinse avanti il suo sostegno per uno stile di astrazione più puro e pulito, liquidando attivamente gli ultimi studi figurativi di de Kooning. Spostò invece il suo sostegno verso i pittori della Washington Colour School come Barnett Newman, Kenneth Nolan e Anne Truitt, che praticavano un linguaggio essenziale e minimale basato sulle sensazioni ottiche dei modelli di colore piatto. Nel suo saggio American-Type Painting, 1955, Greenberg sostenne che questa nuova scuola di pittori stava conducendo una progressione naturale verso la vera arte modernista.
Pittura modernista
Con lo sviluppo delle idee di Clement Greenberg, queste divennero sempre più polarizzate ed estreme. Quando l’ascesa del kitsch, della Pop Art multistrato e dello stile Neo Dada iniziò ad emergere attraverso gli artisti newyorkesi Robert Rauschenberg e Jasper Johns, Greenberg si oppose ancora più duramente. Combatteva a gran voce la sua argomentazione che la pittura modernista doveva essere un processo di riduzione che la distingueva da altri mezzi o metodi. Affermò inoltre che l’astrazione era uno sviluppo logico e necessario nell’arte moderna che spogliava l’arte fino alla sua essenza più pura e distillata, che descrisse come la progressione naturale del Formalismo, una teoria avanzata per la prima volta dal critico d’arte Roger Fry all’inizio del XX secolo.
Queste idee furono esemplificate nel saggio più iconico di Greenberg, Pittura modernista, 1961. Egli sosteneva che la pittura dovrebbe essere un’attività in definitiva “pura”, rifiutando qualsiasi forma di riferimento al mondo esterno, compresa l’espressione emotiva, l’illusionismo, o qualsiasi “spazio che gli oggetti riconoscibili possono abitare”. Greenberg ha continuato a spiegare come un dipinto dovrebbe essere interamente autoreferenziale, riferendosi solo a se stesso e senza altri riferimenti esterni al mondo reale, o a qualsiasi altro mezzo artistico come la scultura o il disegno.
Astrazione post-pittorica
Anche se erano estreme, le idee di Clement Greenberg riflettevano lo spirito dei tempi ed ebbero una forte influenza sui principali sviluppi artistici degli anni ’60. I semplificati e saturi dipinti Colour Field di Helen Frankenthaler, Morris Louis e Jules Olitski sono oggi sinonimi delle idee di Greenberg, che definiscono l’apice dell’era modernista con un atteggiamento spietatamente rigoroso e analitico nei confronti di forma, colore, struttura, scala e composizione. Greenberg curò una mostra intitolata Post-Painterly Abstraction nel 1964 al Los Angeles County Museum of Art che includeva opere di trentuno artisti diversi; ebbe un tale successo che la Post Painterly Abstraction è ora riconosciuta come un movimento a sé stante.
Influenza sulla critica d’arte
Basandosi sia sulle sue idee sul formalismo che sulle teorie del filosofo tedesco del XVIII secolo Immanuel Kant, Greenberg sostenne nella pittura modernista un nuovo modo oggettivo di vedere l’arte. Credeva che l’arte dovesse essere vista e scritta in modo completamente distaccato, osservando solo le proprietà fisiche dell’oggetto stesso. Queste idee ebbero una profonda influenza su una nuova generazione di critici d’arte modernisti che divennero noti come la “Scuola di Greenberg”, tra cui Rosalind Krauss, Michael Fried e Barbara Rose, ognuno dei quali adottò un simile approccio analitico quando dissezionava un’opera d’arte.
Il contraccolpo contro Clement Greenberg
A metà degli anni sessanta artisti e critici si stavano già muovendo oltre gli estremi delle idee di Clement Greenberg. Molti vedevano il suo punto di vista come troppo polarizzato e dogmatico, mentre la sua eliminazione dell’illusionismo, della narrazione e dell’emozione nella pittura aveva messo il medium in un angolo, senza più un posto dove andare. E come il critico d’arte Rosalind Krauss arrivò a capire, l’eccessiva semplificazione dell’arte modernista e formalista di Greenberg sradicò molte delle idiosincrasie e irrazionalità della vita. Le scuole dirompenti della Pop Art e di Fluxus che sorsero sulla scia di Greenberg riportarono molte delle complesse diversità della vita ordinaria nelle pratiche artistiche nel corso degli anni ’60 e ’70, scuotendo molto di ciò che egli aveva sostenuto con tanta veemenza.
Anche se il contraccolpo contro le idee di Greenberg sul puro modernismo e formalismo continuò per diverse generazioni, l’enfasi che egli pose sull’autoreferenzialità e sulla materialità degli oggetti d’arte è un atteggiamento che persiste ancora oggi. Molti dei pittori contemporanei più sperimentali ed eccitanti di oggi hanno in fondo alla loro mente la consapevolezza di un dipinto come oggetto fisico, anche se ora lo hanno inondato di riferimenti alla vita moderna, come dimostra l’arte di Callum Innes, Tomma Abts, Fiona Rae e Peter Doig.
Mentre la visione un po’ semplificata di Greenberg della storia dell’arte come una singolare marcia verso l’astrazione è stata in gran parte riscritta oggi, la sua argomentazione che dovremmo vedere i dipinti solo in quanto tali, senza metterli in relazione con qualcos’altro, è un atteggiamento che ancora oggi rimane sullo sfondo e colora il modo in cui molti di noi guardano all’arte, in particolare la sua convinzione dell’arte come un’esperienza unica che è “introvabile da qualsiasi altra fonte”
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