Due anni fa, i Great Grandpa erano una band diversa. L’album di debutto del 2017 del quintetto di Seattle, Plastic Cough, si annidava proprio nell’ondata di gruppi rock ansiosi e vivaci come Charly Bliss, Diet Cig, Dude York e molti altri che ancora vagano nel panorama indie. Ma c’era qualcosa nella voce del cantante Alex Menne, la sua consegna chiara ed emotiva su linee casuali come “Always killin’ it” che colpiva particolarmente. Ma quando la bassista e vocalist Carrie Goodwin e suo marito e principale compositore Pat Goodwin si sono trasferiti a Milwaukee da Seattle l’anno scorso, la mossa ha lasciato la band in sospeso mentre scrivevano il loro secondo album, Four of Arrows. Con 2.000 miglia tra loro, le canzoni dei Great Grandpa sono diventate più spaziose, folcloristiche e abili, perdendo quasi tutto il grunge che caratterizzava Plastic Cough. Hanno attaccato un cartello di carta sul muro dello studio che diceva: “Andate piano, grandi scelte.”
In Four of Arrows, la band fa un passo indietro e prospera in un songwriting più deliberato. I Great Grandpa mantengono la loro sensibilità tweemo in canzoni come il singolo a due cori “Mono no Aware”, il cui suono pop-rock quasi stucchevole, i versi sul pathos, gli uccelli morti, e la nonna che svanisce dall’Alzheimer come una “bistecca senza vita in quel ristorante vuoto” ricordano il meglio dei Rilo Kiley. Si appoggiano ad arrangiamenti più avventurosi, specialmente in “English Garden”, una canzone sui sogni e le paure in cui Pat suona il banjo e il piano, e Abby Gunderson è al violino e al violoncello (Mellotrons, synths, e armonium fanno anche una gradita apparizione su questo disco). Canzoni come la scoppiettante apertura “Dark Green Water” hanno il tipo di urgenza emotiva delle migliori canzoni degli Hop Along; la voce elastica di Menne ha una potenza ed un effetto simili a quelli di Frances Quinlan. “Digger”, il pezzo centrale del disco ispirato ai tarocchi, buca il velo dell’indie rock di maniera quando Menne grida, “Ecco perché ti odio” per quattro volte di fila.
Il punto centrale di Plastic Cough è una traccia particolarmente cacofonica chiamata “Expert Eraser”. Ma l’interludio su Four of Arrows è lo strumentale per piano “Endling”, composto e suonato da Pat Goodwin e registrato al piano dall’album dei Death Cab For Cutie del 2003, Transatlanticism. L’album non beneficia veramente di questo paesaggio sonoro, se non per legarli ai loro antenati indie-rock emotivi, e per rendere inconfondibile il loro cambiamento di suono. C’è molto più piano e c’è molta più morte in questo disco: “Rosalie” e “Split Up The Kids”, entrambe le canzoni scritte da Carrie Goodwin, trattano rispettivamente del “regresso inesorabile” dell’invecchiare e di come lei abbia visto i suoi nonni insieme solo al funerale di suo nonno.
Quattro delle migliori canzoni degli Arrows sono quelle scritte da Menne, quelle che tengono alta l’energia e le idee semplici. Su “Treat Jar”, che non suonerebbe fuori posto alla radio alt degli anni ’90, Menne canta pugnali al cuore: “Non posso aiutarti se non posso aiutare me stesso” e “Tutto è difficile in questo periodo dell’anno”. E “Bloom”, un brano estatico sul lasciar fiorire il proprio spirito e sull’essere “abbastanza giovani per cambiare” è uno dei più forti finora. “Divento ansioso nei fine settimana, quando sento che sto perdendo tempo”, canta Menne, “Ma poi penso a Tom Petty e a come ha scritto le sue migliori canzoni a 39 anni”. Il tempo è dalla loro parte.
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